La Fauna

Uccelli

Non siamo naturalisti né biologi, quindi la nostra competenza è abbastanza limitata. Perciò non ripeteremo – male – quello che potrete trovare tranquillamente su una qualunque guida turistica o sui siti specializzati. Ci limiteremo a parlarvi di animali umili e familiari. Tanto per cominciare, i piccioni. Si, proprio i piccioni che in città fanno generalmente così schifo quasi a tutti. Beh, quei piccioni lì, scordateveli. I piccioni delle Azzorre (ma, probabilmente, in generale quelli delle isole, perché a Capo Verde avevamo notato la stessa cosa), non hanno quasi niente in comune con i loro cugini cittadini europei. Prima di tutto perché sanno volare. I piccioni in città non volano, si lanciano da un cornicione verso un davanzale del palazzo di fronte, frullo d’ali all’arrivo e questo è tutto. Anche la posa che assumono è penosa: petto buttato in avanti, ali all’indietro, planatina instabile, che sembra che nemmeno riescano a seguire una traiettoria seppur minima senza correggere in continuazione, e fine del volo. I piccioni alle Azzorre, loro, nidificano su scogliere alte decine di metri e spazzate quasi di continuo da un vento che ti strappa il cappello dalla testa. I piccioni, lì, all’inizio li scambi per dei piccoli rapaci. Sfruttano le correnti che nemmeno un gabbiano.

Un gabbiano torna a casa al tramonto sopra Ferraria (Sao Miguel)

Li vedi sfrecciare rapidissimi, le ali un po’ ritratte per ridurre la portanza, inanellare mulinelli, frullini, virate sfogate o strettissime, con l’ala a coltello, ché quasi ti sembra di vedere il flusso laminare che si stacca dal dorso alare, nemmeno fossero dei Mig 29 in esibizione a Fairborough. E a guardarli da sopra, in effetti – cosa che capita facilmente, essendo le isole disseminate di osservatori (miradouros) sui punti più panoramici delle scogliere – ti danno proprio l’impressione di caccia in manovra, con questo loro passare compatti e veloci, senza scomporsi, senza dare strappi nella traiettoria e senza quasi battere le ali. Insomma, a vederli così, per un attimo ti verrebbe perfino voglia di essere tu stesso un piccione, giusto per il piacere di scoprire cosa si prova a volare a una velocità di cinquanta chilometri all’ora (che non è male se hai una apertura alare di 30 centimetri e pesi meno di mezzo chilo) radenti a una parete rocciosa mentre dal basso gli spruzzi delle onde si arrampicano sette, otto, dieci metri in aria e la salsedine arriva a sporcare le lenti delle macchine fotografiche degli umani che, là in alto, guardano e sognano di restare per sempre su quelle rocce.

Lo vedete il puntino bianco? E’ un piccione acrobatico che si riposa

Però poi, se li osservi abbastanza a lungo, scopri che non è tutta rose e fiori la vita del piccione, nemmeno di questo piccione serio volatore delle Azzorre. Un inaspettato anticlimax si può per esempio osservare in quelle giornate calme, calde, quando “il mare è una tavola blu” e sembra che la scogliera sia un posto meraviglioso dove la vita può scorrere placida e serena, coi piccoli nel nido, il cibo da scovare nelle fessure e nessuna preoccupazione al mondo… se non fosse per il fatto che anche una poiana ha deciso che in una bella giornata così vale la pena di farsi un giretto attorno al Morro di Castelo Branco per vedere che si dice.

Il Morro de Castelo Branco: molti degli anfratti che vedete sono nidi

Ed ecco che al passaggio lento e disinvolto del rapace con le coccarde bianche sull’estremità delle ali (lo avrete letto sui siti, è il rapace endemico dell’arcipelago e che all’inizio era stato scambiato per un astore, in portoghese Azul, da cui Azzorre), gruppi di piccioni bianchi, grigi, marroni, sembrano esplodere dal basalto nero, spaventati dalla macchina da assalto e preda che invece, a noi umani, sembra solo una splendida dimostrazione di come volare possa avvicinarsi a un tranquillo, perfin delicato, scorrere sulla seta. Probabilmente la vediamo così perché non c’è nessun richiamo nel nostro DNA a zampe protese con gli artigli puntati, al sibilo di due ali aperte lanciate in picchiata sopra la nostra testa, allo stridio terrorizzante che dall’alto ci precipita addosso raggelandoci.

Fermi e mimetizzati finché il rapace non se ne va

Eppure, bisogna ammetterlo: anche a sentirlo così, per caso, mentre si mangia un panino in uno degli innumerevoli punti di sosta che costellano le isole,  lo stridere della poiana non risulta certo un suono allegro, no. Nessuno lo direbbe mai. È una fortuna non essere dei piccioni e potersi permettere di stare lì, su un ponticello che scavalca la ribeira dalle parti del Miradouros das cabras, proprio sopra Praia Du Norte, Faial, a spiare la poiana che si riposa accanto al nido e che poi, disturbata dalla nostra pur silenziosa presenza, si lancia in volo con delle strida di fastidio, regalandoci lo spettacolo di rara eleganza di un volteggio perfettamente circolare, in salita lenta, rilassata, inesorabile.

Una poiana in volo. Sono in realtà animali timidi e difficili da fotografare senza un tele molto potente

I gabbiani di Lagoa do Fogo.

Per arrivare alla Lagoa do Fogo, a Sao Miguel, ci sono due possibilità: la prima è percorrere una sterrata di 11 km, la seconda salire in macchina fino al miradouro da cui si domina tutto il lago e poi da lì scendere una scalettata piuttosto ripida, che si percorre in circa 15 minuti. Noi volevamo esplorare la prima via, ma un incidente stradale ci ha fatto perdere un sacco di tempo e abbiamo dovuto ripiegare sul percorso più semplice (ma che, ammettiamolo, in salita toglie abbastanza il fiato).

Lagoa do Fogo – Il Panorama dall’attacco del sentiero

L’inizio della discesa….

Una volta scesi alla Lagoa do Fogo, ci si ritrova in un luogo veramente incontaminato. L’unico segno di presenza dell’uomo è un pontile in pietre, lungo meno di 10 metri, utilizzato dai pescatori (infatti sopra c’era un ragazzo che si sarà portato a casa una decina di pesci di lago, e anche belli grossi). La gente, non moltissima, in verità, va lì “in spiaggia” a fare il bagno e prendere il sole in mezzo a uno scenario effettivamente incantevole.

…natura incontaminata e silenzio…

…Spiaggia a Lagoa di Fogo…

…il sentiero fa il periplo quasi completo del Lago…

Come leggerete anche sulle guide, su questo lago hanno trovato rifugio alcune colonie di sterne e gabbiani.

Alessio tenta di fermare nel suo click una piccola sterna….

 

 

 

 

 

 

 

eccola!!

Ebbene, noi di gabbiani ne abbiamo visti e ammirati moltissimi e in molti luoghi diversi. Li conosciamo e spessissimo ci fermiamo ad osservarli nei loro volteggi, nella loro notevolissima capacità di volare. Ma evoluzioni come quelle viste alla Lagoa do Fogo ci erano sconosciute in precedenza. Questi gabbiani, e specie quelli di colore non bianco, ma cenerino, arrivavano veloci fin sull’acqua in volo livellato e poi cominciavano delle vere e proprie manovre acrobatiche. La cosa che più ci ha colpito, e che non avevamo mai visto fare a nessun gabbiano, sono state delle rapidissime variazioni di assetto. In pratica si mettevano con un’ala a coltello che quasi toccava l’acqua, e poi, tre o quattro volte di seguito, rapidissimi (nello spazio di non più di due secondi) si rovesciavano prima su un lato, poi sull’altro, poi ancora sul primo. Quindi, ad esempio: prima ala sinistra in basso, poi destra sinistra destra, poi si riallineavano, sfruttavano la spinta residua e il vento di fronte per risalire di quota un paio di metri e infine, con una virata strettissima, eseguita con la punta dell’ala a pochissimi centimetri dall’acqua, riducevano la velocità e si posavano.

Solo 45 gradi di bank destro, qui… roba da dilettanti

Avremmo voluto filmarli, ma non ci siamo riusciti, troppo rapidi e troppo lontani.

..cercando di catturare le evoluzioni dei gabbiani…

…sulla spiaggia…


..in volo radente…

…in ammaraggio…

La cosa più interessante è che, almeno da quanto potevamo capirne noi, questa cosa i gabbiani la facevano senza nessun motivo preciso, come se fosse puro divertimento. Infatti, in altri casi, venivano all’atterraggio in maniera molto meno spettacolare, limitandosi a frenare ad ali aperte e poi posarsi senza tante storie. Abbiamo immaginato che dietro potesse esserci, per esempio, un rituale di corteggiamento e che questa esibizione di bravura fosse fatta a vantaggio di qualche femmina. Resta il fatto che, pur non sapendo da cosa dipendessero, quelle evoluzioni ci hanno incantato per almeno un’ora. E c’erano anche dei momenti di divertimento involontario. Perché poi non tutti i gabbiani risultavano altrettanto padroni degli assetti inusuali. Uno, per esempio, dopo aver compiuto le evoluzioni già descritte, si è immesso nella virata finale, quella veloce con l’ala a un pelo dall’acqua… solo che ha sbagliato i calcoli, ha toccato l’acqua con l’estremità alare e si è schiantato con un grande sbuffo d’acqua da cui è uscito con un’aria che sembrava proprio vagamente imbarazzata e colma di disappunto!

Asciugatura delle ali dopo aver spanciato sull’acqua

È sbagliato antropomorfizzare, ma quello pareva proprio un umano ben vestito che, mentre entra con fare disinvolto in una sala addobbata, rovescia goffamente un vassoio di aperitivi. Un altro, dopo la stessa procedura, è finito addosso a un compagno, il quale se lo è scrollato di dosso con quello che è sembrato un certo fastidio! Ma si tratta di eccezioni: nel complesso erano semplicemente impressionanti, nel loro evoluire. Ci è venuto da pensare che se c’è stato qualcosa che ha ispirato Richard Bach nello scrivere Il gabbiano Jonathan Livingstone (il quale, forse ricorderete, comincia la sua avventura proprio dal desiderio di imparare a volare DAVVERO, non solo quanto basta a procacciarsi il cibo, ma per il puro piacere di volare), quel qualcosa potrebbe essere stata proprio l’osservazione di comportamenti come quello dei gabbiani della Lagoa do Fogo.

 Bovini

Le mucche di Faial sono, semplicemente, belle. Sono, come accennato in precedenza, lucide, pulite, quasi senza una mosca intorno.

Una mucca ci fa la linguaccia sulle pendici della Caldeira

Brucano l’erba in campi piuttosto spaziosi, rispetto al loro numero, e così il manto gli si mantiene lustro e compatto, non si sporcano sdraiandosi sui loro escrementi perché non ci sono obbligate dalla ristrettezza di spazio e a volte, libere come sono di muoversi, le scopri a fare operazioni imprevedibili, tipo stare inerpicate a brucare tranquille su uno scosceso di quarto o quinto grado. Che ti trovi a commentare inevitabilmente che, va bene che hanno la trazione integrale, va bene che con gli zoccoli fanno presa quasi ovunque, ma… come accidente fa una bestia alta 170 cm al garrese, lunga più di due metri e pesante quasi tre quintali a raggiungere certe pareti dove un essere umano non salirebbe se non assicurato? E soprattutto, come diamine farà a girarsi e tornare indietro? Però, statene certi, lo fa. Perché, di ritorno dalla nostra camminata, vediamo la stessa mucca che non è più lì dove, pericolosamente abbarbicata, l’avevamo lasciata all’andata, ma se ne sta a ruminare beata (l’erbetta fresca che si era pappata sullo scosceso di prima, supponiamo) sdraiata nel campo accanto al dirupo medesimo.

…sulle pendici del vulcano…

..per stare più comoda…

…ti osservano mentre attraversi il pascolo…

Ti guardano, le mucche. Certo, tutte ti guardano, non solo quelle di Faial, ma il fatto è che lì te ne accorgi distintamente. Prima di tutto perché ne vedi molte di più che da qualunque parte, in Italia, poi perché loro, al contrario, di umani ne vedono pochini, e di solito sempre gli stessi, e quindi, quando gli passi accanto, ti danno questa sensazione di vago disappunto, come se stessi entrando nel bar di un piccolo paese, dove tutti si conoscono e quindi, al tuo ingresso, tutti ti puntano come a dire E adesso questo chi è? E, infatti, proprio questo sembra che dicano, le mucche che pascolano nei campi accanto ai sentieri, spesso al sicuro oltre i recinti, ma anche senza recinti, direttamente sul bordo della strada.

… adesso che avete sgombrato la strada, se permettete, passiamo noi…

Questo chi è?, ma, soprattutto, cosa vuole? E ti fissano, senza distogliere lo sguardo per minuti interi, senza muoversi, per controllarti, decidere che le hai scocciate, e allontanarsi senza voltarsi indietro, o al contrario, eventualmente, venirti sotto. Perché le mucche, lo scopri ad averci a che fare in posti così, sono sì animali timidi, ma mica poi tanto. E se te ne resti a guardarle o ti muovi verso di loro, c’è, sì, il caso che si allontanino timorose, ma, se gli gira, succede magari che al contrario ti puntino. E allora sei tu che te ne vai, e alla svelta, anche se l’aguzzo delle corna glie l’hanno mozzato e il taglio ricoperto con cappucci di gomma. Te ne vai perché una mucca di una certa stazza e in buona salute è molto ma molto ma molto più grossa e più forte di te. E, siccome non sei il suo padrone (quello che le raduna, le spinge, le munge), non è detto che ti tema. Anzi.

…legato per precauzione…

Poi però ti regalano anche scene più buffe ma non meno inusuali, le mucche di Faial, come il grosso toro nero, su per la salita al Cabeco Verde, che, assai intento, si era aggrovigliato tutto su se stesso per poter… delicatamente… pian pianino ma con decisione… grattarsi con uno degli zoccoli posteriori proprio quel punto lì, dietro l’orecchio, dove evidentemente lo infastidiva un certo pruritino. Una vista ben strana, quella di un toro da mezza tonnellata, in delicato equilibrio su tre zampe, avvoltolato su se stesso, il muso in alto, lo zoccolo proteso, come si preparasse a posare per un D’Alì o un Goya, o un loro mix.

Ok, mi direte: ma alla fine quante storie per delle bestie che, comunque sia, sempre alla brace dovranno finire, esattamente come le loro colleghe più sporche, più maltrattate, più industrializzate. Già, però in fondo è lo stesso per noi, no? Si tratta sempre di finire sottoterra, ma la differenza la fa il modo in cui ci sei arrivato.

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